Il Sociologo Francesco Pira in Libreria con il saggio “Figli delle app”

Isolati, impauriti e scoraggiati per l’esperienza del lockdown vissuto con l’onnipresenza di uno smartphone e insieme a virtuali “compagni di Dad”; attivi sui social, interpretati come una normalità necessaria, ma nei quali muoversi anche con uno o più profili falsi: sono alcuni dei tratti che definiscono i “Figli delle app”, i giovani preadolescenti e adolescenti del 2020, secondo l’analisi del sociologo Francesco Pira presentata nel suo ultimo saggio.
Prima vera generazione totalmente digitale, in possesso nel 99% dei casi di un device connesso in rete, i “Figli delle app” – espressione che da titolo al saggio pubblicato da Franco Angeli nella Collana Sociologia, in libreria dalla prima settimana di marzo – fanno i conti con dinamiche di rapidissima evoluzione e dinanzi alle quali sia loro, sia le famiglie in cui vivono, si trovano del tutto impreparati. Come la vetrinizzazione dell’io; o la sistematica manipolazione, consapevole o meno, della realtà; fino alla violenta compresenza – nell’anno della pandemia – di esperienze di isolamento e di iper-comunicazione. Il libro offre alcune chiavi interpretative di queste trasformazioni basandosi sui risultati delle ricerche condotte in ventitré anni di studio sull’evoluzione dei modelli comunicativi dei giovani prima e dopo l’avvento delle nuove tecnologie e la digitalizzazione della società, offrendo così anche una prospettiva intergenerazionale.Alle dinamiche che hanno segnato la vita digitale, e non solo, dei giovani nel corso del primo anno di pandemia è dedicato l’intero terzo capito del volume, che dà conto anche dei risultati dell’ultima ricerca dell’autore, professore associato di Comunicazione e Giornalismo all’Università di Messina. La survey “La mia via ai tempi del Covid” è stata condotta nel periodo aprile – maggio 2020 e ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori. “Uno degli aspetti di maggiore interesse emerso dalla ricerca – dice Pira – è quello relativo alla tendenza a isolarsi rispetto all’ambiente familiare. I ragazzi raccontano di avere provato momenti di paura e di avere sentito moltissimo la mancanza degli amici. Nelle risposte al quesito dieci: ‘Cosa ti manca di più?’, quesito a risposta aperta, le considerazioni ruotano per la maggior parte intorno al tema dell’amicizia e dello stare fuori con gli amici. Le ragazze e i ragazzi utilizzano il sostantivo ‘libertà’ riferito alla possibilità di uscire di casa. ‘Uscire con gli amici’, ‘vedere gli amici’, ‘stare con…’, tutte espressioni che raccontano di un bisogno di fisicità, che nel loro modo di relazionarsi si interseca senza soluzione di continuità con la connessione e l’interazione online. Una dipendenza dagli altri che genera il paradosso di una forte sensazione di isolamento, paura e scoraggiamento, con oltre il 60% degli intervistati che dichiara di avere provato questo sentimento durante il periodo di lockdown. Gli adolescenti sono passati da vite super organizzate, fin troppo piene di attività, nelle quali la tecnologia e i social media giocano il ruolo di facilitatori della comunicazione, ad una situazione in cui la propria vita si racchiude tutta dietro uno schermo”.“La pandemia e l’isolamento fisico sembrano avere acutizzato insicurezze e fragilità di pre-adolescenti e adolescenti, sentimenti di paura e scoraggiamento alimentati dalla dipendenza dall’accettazione e approvazione da parte del gruppo di pari che si realizza solo nelle dinamiche social – dice ancora Pira – Capisco Fiorello papà, che si rammarica che la figlia non è più abituata ad uscire di casa. Lei e altri ragazzi sono costretti davanti al computer E prova più dolore perché come gli altri si sta abituando a questo nuovo stile di vita”.Tra le diverse dinamiche sotto esame nella survey c’è anche quella relativa alla virtualizzazione e alle manipolazioni delle informazioni e delle identità; esame che mette l’accento su come i giovani siano non solo esposti alle fake news, ma siano anche loro stessi “spacciatori” di falso. “C’è un elemento che offre spunti di approfondimento – spiega Pira – ed è quello relativo alla possibilità che i giovani intervistati avessero attivo anche un profilo social falso. Al quesito ha risposto solo il 29% dei partecipanti, e già questo è un dato significativo, solo il 29% ha risposto. Ma dato ancora più impressionante, il 69% di questi ha dichiarato di avere un profilo falso. Ciò porta a formulare alcune ipotesi. Una prima considerazione deriva dai processi di proliferazione della disinformazione, che hanno aperto la strada all’affermarsi di forme deviate di esercizio della libertà che si muovono nell’opacità dell’anonimato. Un secondo elemento, insito nel DNA stesso di un falso profilo, è l’interio¬rizzazione di una visione distorta del principio di tutela della propria privacy. Più in generale appare evidente, una volta di più, come nell’era liquido-moderna l’inganno sia diventato centrale nei processi di comprensione del reale, e la distinzione tra vero e falso non sia più percepita”.Il titolo dato al saggio è un esplicito riferimento ad una canzone della fine degli anni Settanta, che l’autore spiega così: “Figli delle app è il provocatorio titolo che ho scelto, da immigrato digitale e adolescente, quando Alan Sorrenti cantava: Noi siamo figli delle stelle/ Non ci fermeremo mai per niente al mondo/ Per sempre figli delle stelle/ Senza storia, senza età, eroi di un sogno… – conclude Pira – Non sono sicuro che essere figli delle app sia essere eroi di un sogno, purtroppo concordo con il pensiero Zygmunt Bauman che avverte come il consumismo tecnologico rischi di trasformarci in individui senza storia e identità”. Askanews

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